Fabio Gallo: al di là delle cose plausibili

Fabio Gallo

M“i alzai presto quella mattina di settembre. Evitai qualsiasi rumore per non svegliare gli altri: non volevo che qualcosa o qualcuno potesse impedirmi di andare incontro al richiamo della felicità che solo un bimbo può avvertire. Ero nel tempo della festa. Scesi le scale e aprii la porta della vecchia rimessa. Odoravo l’aria che sapeva d’estasi. I miei occhi posavano lo sguardo ovunque e ovunque era bello. Presi la mia bicicletta e andai incontro al sogno. Un passo fuori dal mio maniero, poi la sosta. Fermo sul sellino, con un piede sul pedale e l’altro poggiato a terra, alzai la testa per perdermi nell’incanto. Il cielo era blu intenso e così meravigliosamente bello da farmi gonfiare il cuore.

Il sole lo illuminava con eleganza e un impercettibile soffio di vento accarezzava il mio fanciullo corpo. Poi chiusi gli occhi per conoscere l’odore della somma armonia.- Fabio Gallo

Il profumo delle zolle di terra inumidite dalla rugiada mi entrò dentro e si unì al cielo e al sole che avevo appena inghiottito. Mancava di ascoltare la musica. Udii voci lontane e il rumore dei fragili rami di un oleandro spinti dal vento che, in frack, dettava le note della grazia. Potei quindi riaprire finalmente gli occhi per sentirmi parte di quel luogo e di quel tempo, senza peso e forma, con la mente ed il corpo traboccanti di quei colori e di quella luce.Scomparvi poi, divenuto ormai parte di quella meraviglia. Ma continuavo ad esserci, vestito con sfarzo di luce e azzurro. A nulla potevo pensare che non fosse delizia e amore. Mi sentivo potentemente buono e bello. Presi a correre sulla mia Graziella lungo un verde viale. Non c’era traiettoria, andavo sempre dritto e sempre più veloce per cercare di bucare l’aria.

Col corpo leggermente inclinato sul manubrio, sfrecciavo come una Ferrari. Gli occhi schiaffeggiati dal vento lasciavano andare via piccole lacrime che, dopo aver solleticato i lembi del mio viso, andavano via lasciando sulla mia pelle il loro umido piccolo sentiero. I capelli volavano e sul mio viso era disegnata una smorfia che riuscii a vedere senza che gli occhi se n’accorgessero: erano i tratti del Divino. Ero divenuto un forte guerriero che non avrebbe mai combattuto in quelle vesti, semplicemente perché niente e nessuno poteva battermi. Al contrario, sentivo l’universo intero correre con me sulla bici, aggrappato al mio corpo per paura di cadere.

Le mani poi, tutte le mani degli uomini, erano nelle mie mani, protette dall’eterna morsa dell’amore. Non c’erano pericoli in quel soleggiato giorno di settembre. Non c’era nulla e c’era tutto. E tutto era magnificamente bastevole. Correvo nel Vento e il Vento correva in me lasciando alle lacrime sbiadire il mistero che iniziavo a intravedere fluttuante e dalle forme nobili di spirito simili a Dame e Cavalieri. Cominciai, quel fulgido mattino si settembre, a capire il significato di quelle voci e di quelle sagome che da un po’ avevano preso a frequentarmi in gran segreto”.

 

 

 

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